Visita ai gioielli di Sardegna: l’Eneolitico e le Nuove migrazioni_di Tarcisio Agus

Terminata la fase Neolitica che gli studiosi hanno datato al 2320 a.C., con la fine della Cultura di San Michele, sulla base di testimonianze sottoposte al carbonio 14. Le date sinora usate fanno riferimento alla così detta Archeologia Storica, ma sono in atto nuove rivisitazioni ricalibrate. In questa nuova scala la Cultura San Michele e quindi il Neolitico, terminerebbe nel 2900 a.C.

Da questo momento possiamo dire che qualcosa di nuovo avviene tra le popolazioni indigene. Il  Neolitico, sviluppatesi in armonia con il proprio territorio, dal quale ha tratto importanti risorse alimentari per il proprio sostentamento e materiali litici per la produzione degli utensili, per la caccia, la vita domestica e per la propria dimora. Si è rilevata  anche un’importante evoluzione socio – culturale  che ha portato i nuclei famigliari, una volta sparsi sull’ampio territorio sardo, ad unirsi in villaggi capannicoli di significative dimensioni. Sostanzialmente si è  percepita la vita di un popolo, che per circa 3000 anni, ha vissuto in perfetta sintonia con l’ambiente e la natura che lo accoglie.

I primi segnali del cambiamento si evidenziano nella fase così detta Eneolitica, che praticamente anticipa la civiltà Nuragica. L’Eneolitico, chiamato anche età del rame, abbraccerebbe un’arco di tempo compreso tra il 2900 e il 1800 a.C. Circa 1000 anni all’interno dei quali gli studiosi classificano quattro importanti periodi così nominati:

Pranu Maore (Laconi) – Pietra fittile

Filigosa (2900-2500); Abealzu (2500 – 2300), Monte Claro (2300 – 1745) e Campaniforme, che abbraccia un arco temporale compreso tra Filigosa e Monte Claro, con propaggine nell’età del Bronzo (2600 – 1800).

I primi due periodi dell’Eneolitico, molti studiosi gli abbinano con la denominazione Cultura Abealzu – Filigosa. Come ormai si è visto, molti periodi traggono il loro nome dalla località dove sono avvenuti importanti ritrovamenti, così pure avviene per la Cultura Filigosa, il cui nome  venne dato dalla necropoli ipogeica omonima, nei pressi di Macomer. Così pure avviene per la Cultura di Abealzu dalla necropoli nel territorio di Osilo, in provincia di Sassari. Dare il proprio nominativo ad una fase storica, come abbiamo visto, è sinonimo di ritrovamenti culturali unici.

Sul finire del Neolitico appaiono, nella vita di alcune comunità territoriali, le tracce dei primi metalli che si manifestano più significativamente in questo momento, in particolare ritroviamo oggetti ottenuti dalla fusione del rame e del piombo. Questo aspetto fa ritenere a molti l’avvento di influssi di popolazioni provenienti dalla Francia e dalla Spagna, esperti nella lavorazione dei metalli che si “integrano” con le popolazioni indigene, aprendosi a nuovi commerci nel mediterraneo. Se pur associate le due culture  si differenziano non solo per la produzione vascolare, ma anche sotto il profilo religioso, socio – economico e dei materiali.

Filigosa, in questo periodo, integra le tombe ipogeiche esistenti con un dromos, corridoio di ingresso e le ceramiche rinvenute perdono le cospicue decorazioni della fase Ozieri, per assumere superfici lisce e non decorate. Nelle tombe ipogeiche pluricellulari si ritrovano dei focolari circolari, a significare una evoluzione rituale che assume particolare significato nei riti funebri, con la praticata della scarnificazione,  sepoltura secondaria dei resti dell’umato.

Nella fase  Abealzu assistiamo invece ad una evoluzione della capanna che aveva caratterizzato i villaggi del Neolitico, con articolazione a più ambienti. La produzione vascolare aggiunge alle forme già in uso nella cultura di Ozieri, produzioni a fiasco e colletto, ma sempre di fattura liscia e senza decorazioni.  Sembrerebbe una regressione culturale anche se le forme si mantengono, ma scompare quasi del tutto la decorazione.

Seicento anni di importanti trasformazioni durante la cultura Albealzu – Filitosa, dove emergono segnali inequivocabili di influenze esterne che modificano ed incidono in un mondo pressoché dedito all’allevamento ed alla agricoltura.

Le nuove genti, con la propria cultura e conoscenza, riescono ad incidere sulla cultura  locale ed i nuovi prodotti metallici cominciano a sostituire l’uso dell’ossidiana. Sfruttando le rotte del commercio della stessa, espandono l’influenza su nuove e ulteriori vie commerciali nel mediterraneo.

Molti studiosi in questo periodo vedono anche una trasformazione delle comunità indigene ed in particolare il nuovo ruolo maschile assume sempre più quello dominante del capo, mentre quello femminile sempre più domestico. Quest’ultimo aspetto sembrerebbe rimarcato  dalle nuove scoperte come la tessitura, eloquentemente rappresentato dai pesi di telaio e teste di fuso in pietra o argilla, rinvenuti e documentati negli scavi ascrivibili a questo importante periodo storico.

Anche le numerose pietre fitte antropomorfe, rinvenute in grande abbondanza nel territorio di Laconi, sembrerebbero attestare questo nuovo assetto sociale. In maggioranza i menhir sono considerati maschili per la loro rappresentazione iconografica, costituita dal volto, con tratti netti a rappresentare il viso, con occhi, sopracciglia e naso, ma non solo, sul petto emerge un nuovo elemento che gli studiosi hanno definito Capovolto, ossia un uomo a testa in giù. Questa rappresentazione che ritroviamo anche in molte sepolture rappresenterebbe il mondo dei morti. Ma ciò che ha determinato una nuova visione delle statue menhir, non più considerate delle divinità, ma eroi o guerrieri, è il doppio pugnale a doppia lama, simbolo del potere.

Quelle femminili, in quantità molto minore, rappresentate anch’esse con tratti decisivi ma con gli occhi e naso, in qualche caso sono presenti lunghe trecce. La presenza e l’arrivo di nuove genti sembrerebbe confermato dal successivo periodo detto di Monte Claro, i ritrovamenti più significativi provengono dal colle di Monte Claro a Cagliari. Quest’importante cultura, partendo dal sud della Sardegna, si espande progressivamente in tutta l’isola.

La loro influenza la si riscontra nella evoluzione strutturale degli abitati che in parte si evolvono, passando da strutture circolari a capanne rettangolari, sempre all’aperto, in pianura e presso i fiumi. Particolarmente interessante è il villaggio costituito da 40 capanne in loc. Corti Becciapresso Sanluri o quello di San Gemiliano a Sestu, con le sue 60 capanne.

Mutano anche i riti funerari, sempre con tombe sotterranee ma coperte con lastroni, di fatto sembrerebbe si abbandonino le sepolture con le domus de Janas, anche se queste vengono spesso riutilizzate, preferendo quelle a cista o a pozzetto.

Nella fase  Abealzu – Filigosa, i ritrovamenti metallici erano assai scarsi, in questa di Monte Claro la metallurgia sembra esplodere con il ritrovamento di nuovi reperti, come i pugnali a foglia, i punteruoli e le grappe in piombo, utilizzate per aggiustare i grandi otri e vasi, che caratterizzano la produzione fittile in forma cilindrica e con decorazioni verticali, come giare, doli e olle. Segno inequivocabile di un’agricoltura fiorente e le nuove produzioni vascolari divenivano funzionali alle aumentate produzioni ed alla custodia delle stesse.

L’Eneolitico si chiude con il Campaniforme o del Vaso Campaniforme, della durata di 800 anni. Una cultura quella del Campaniforme che pare si sia originata in Portogallo, per espandersi nel nord Europa sino alla Russia e propagatasi anche in Sardegna attraverso la Spagna, ma molti studiosi propendono a riconoscere anche un flusso  proveniente dal centro Europa. 

In quest’ultimo caso la cultura Campaniforme, non è data da una località ma dalla forma innovativa del suo vasellame ed in particolare dei vasi che richiama la forma di una campana rovesciata.

Le nuove genti, sembrerebbero costituite da una società guerriera, in quanto le sepolture a noi pervenute, che riusano le vecchie domus de Janas, hanno reso armi ed equipaggiamenti per l’offesa, come i braccioli in pietra levigata (brassard) utilizzati per proteggere il braccio dal rinculo dell’arco.

Di questo nuovo elemento, sono stati rinvenuti anche in lamina di rame,  il più rappresentativo è il Brassrd ritrovato nella necropoli Anghelu Ruju di Alghero, realizzato in pietra verde levigata ed ancora inserita nella sua custodia in osso, decorata con sessantadue cerchielli  ad occhio di dado.

I metalli sono sempre più cospicui come le punte di frecce e pugnali in rame, ad avvalorare ancora le caratteristiche di un popolo guerriero, ma non mancano i monili con la presenza di metalli nobili  come l’oro e l’argento. Alcuni oggetti ornamentali, come le collane che utilizzavano le zanne dei cinghiali, per alcuni studiosi, avvalorerebbe ancora una volta l’avvenuta in Sardegna di comunità guerriere. Diversi altri studiosi invece, propendono a riconoscere nelle genti del Campaniforme un popolo errante, perché non si conoscono insediamenti abitativi, anzi si assiste in questo periodo ad una contrazione dei villaggi del neolitico ed alcuni credono sia un fenomeno dovuto ai cambiamenti climatici del tempo. Certo è che ad oggi sembrerebbe che i nuovi immigrati riprendessero il trascorso uso delle grotte, per le abitazioni e per le sepolture, oltre che riusare le domus de Janas, in alcune aree sono state rinvenute sepolture a  cista litica.In questo periodo assistiamo anche alle prime fortificazioni, muraglie megalitiche, considerate opere difensive, ma non è ancora chiaro da chi, forse dalle stesse popolazioni ora presenti nell’isola, a difesa dei propri territori.

In copertina: vasi campaniforme – Museo Archeologico di Cagliari

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