Cagliari, fermata al 58_incontro di Enrica Anedda Endrich con Salvatore Pinna

Salvatore Pinna è un ragazzo del 1943, è nato a Bitti alla fine della prima guerra mondiale, ha vissuto la sua infanzia a Cagliari, nel quartiere di Castello. E’ stato direttore delle Cineteca Sarda, docente all’università ed è uno dei maggiori esperti sardi di cinema, in particolare di documentari sulla Sardegna. E’ autore di testi, fra cui spicca per particolare interesse “Guardarsi cambiare. I sardi e la modernità in 60 anni di cinema documentario” (Cuec 2010), con il quale l’autore ripercorre la storia della Sardegna attraverso lo studio dei documentari.  Dal 2004 ha pubblicato molte opere di narrativa. 

Salvatore Pinna è un signore elegante, cortese, sensibile e colto; trascorrerci del tempo e fare una chiacchierata è uno dei piaceri della vita, del quale un cagliaritano non si dovrebbe privare, almeno una volta. Il suo ultimo libro di narrativa è “Fermata al 58”  ( Aipsa Edizioni) parla di Cagliari, di un periodo che non c’è di più, dei tempi del circolo di San Saturnino, quando i giovani grazie anche alla Chiesa Cattolica, avevano  dei punti di riferimento e di aggregazione:  vere palestre di formazione culturale e spirituale.  E’ stato spontaneo dunque durante l’intervista intrecciare le domande sul libro con quelle sulla città e su Castello, sul futuro.

Quale è la definizione e quale la sintesi migliore del suo ultimo libro? 

Potrei dire sintetizzando e dandomi delle arie che “Fermata al 58” è il racconto della vita di un bambino sveglio, su se stesso, sulla sua famiglia, su via Del Duomo, sul Circolo San Saturnino, su Castello, sul mondo. Il periodo storico è quello che va dal 1944 al 1958. Il protagonista arriva a Cagliari ancora fumante di bombe alleate, assiste con il suo sguardo sorpreso alla rinascita della città, all’evolversi della vita in quel microcosmo che è Casteddu ‘e Susu, emblema di Cagliari e dell’Italia che è un rinasce. Antioco Floris e anche altri hanno notato che “Fermata al 58” si presta a più livelli di lettura: romanzo storico – gli eventi accadono tra la fine della guerra e il fatidico 1958 – ma è anche un romanzo di formazione – il viaggio nel tempo di un personaggio che dall’infanzia si affaccia all’adolescenza. Io aggiungerei che è un romanzo di avventure 

Il protagonista avrebbe la Sua età e avete molte cose in comune, ma Lei non ama che si dica che il libro  è autobiografico, perché? 

Prima che fosse pubblicato effettivamente  temevo che le fin troppo evidenti coincidenze rinchiudessero il libro nella ridotta autobiografica e casteddaia. Io sono arrivato a Cagliari nel 1944, ho vissuto in via del Duomo, ho frequentato il circolo San Saturnino. Poi man mano che il libro è stato letto ho constatato che il giudizio dei lettori è stato di apprezzamento per la scrittura, per la narrazione e per i personaggi. L’aspetto autobiografico è rimasto sullo sfondo. Posso affermare tranquillamente, quindi, che c’è la rappresentazione romanzata di esperienze vissute, ma passate al setaccio e selezionate. Quindi non importa che le cose raccontate siano vere, ma che sia vero il racconto. Quanto alla cagliaritanità devo ricordare che ogni scrittore racconta storie che si svolgono in un luogo. Io ho sempre raccontato Cagliari in tutte le mie opere narrative, perché è il pezzo del mondo che conosco meglio. Rifiutare di raccontare il luogo dove si vive e che si ama è un segno di provincialismo.  

Fatto sta che anche Lei come il protagonista è vissuto in Castello? Come è cambiato il quartiere da allora ad oggi? Cosa ci sarebbe da fare secondo lei ancora? 

Questo è un tema doloroso, che affronto con un gran senso di pena. Visitandolo, come faccio spesso in miei solitari viaggi d’amore, si legge con tutta evidenza l’incuria degli aministratori.  È evidente che chi non ha fatto niente per Castello, non ama Cagliari. Perché Castello resta un bene prezioso per tutta la città, il suo fiore all’occhiello. Pensi che chance avrebbe avuto Cagliari città europea della cultura se la commissione che ha valutato i titoli si fosse trovato di fronte un quartiere rimesso a nuovo, con tutte le sue bellezze in evidenza. 

Nel libro si parla molto del Circolo San Saturnino, come centro di aggregazione e scuola di vita? Ce ne può parlare?

Il Circolo San Saturnino ha formato generazioni di cagliaritani. Era in tutto e per tutto un campo di addestramento alla vita. Si imparava lo sport, a misurare le nostre forze, la stima di noi, l’amicizia. Ogni bambino era sparring partner dell’altro. A parte il rosario serale e le messe domenicali, che seguivamo con convinzione, non c’era ombra di clericalismo, di bigottismo. 

Oggi le parrocchie e i circoli cattolici non hanno più un ruolo centrale nella crescita dei giovani. C’è un senso di disorientamento e la vita per certi versi sembra essersi spostata sui social. Cosa è successo? In che modo il 68, secondo lei, ha influito ? Siamo ancora in tempo per recuperare? 

Di oggi non so molto. Da quel che posso vedere l’offerta formativa si è molto ampliata e molte cose sono cambiate nelle vita della città. Penso alla dimensione del vicinato che ora manca, per cui il modo di stare assieme è cambiato anche negli adulti. Le vecchie offerte associative hanno perso il loro appeal presso i giovani ed effettivamente i social offrono risposte immediate, gratificanti e a buon mercato ma di scarso spessore associativo. Cosa accadrà in futuro non riesco a immaginarlo. Quello che so è che il Circolo San Saturnino ha creato un legame tale tra coloro che lo hanno frequentato che ancora oggi ci si incontra ogni trenta ottobre, giorno del Patrono, in Cattedrale per la messa e si festeggia il piacere di ritrovarsi. 

Torniamo al libro: Ii protagonista parla in prima persona in una lingua consona alla sua età? E’ stato difficile trovare il registro giusto o è emerso spontaneamente? 

L’ho detto nell’ultima presentazione nella Sala Settecentesca: mi sono accorto, senza quasi volerlo e senza sforzo, di essermi conservato dentro quel bambino pressoché intatto. Con il ricordo fresco delle esperienze, quel modo di vedere le cose, quel linguaggio che non è infantile, non è bambineggiante ma certamente bambinesco. Non confonderei infantile con bambinesco; questa è una definizione nobile. La sensazione di un linguaggio fresco, giovane, sorpreso della vita si rafforza, per contrasto, quando negli ultimi due capitoli parla il protagonista ormai giovane uomo: ritorna nei luoghi dell’infanzia e la scrittura cambia. 

La sua passione per il cinema e le immagini influisce nel suo modo di raccontare? Pensa che “Fermata al 58 possa diventare una sceneggiatura? Ha già avuto qualche proposta? 

Qui mi fa gioco citare ancora Antioco Floris che di cinema se ne intende. Nella sua presentazione del dodici aprile nella Sala Settecentesca, parla di descrizioni che sono “veri e propri quadri, delle sequenze di cinema mentale su cui si possono immaginare anche i movimenti di macchina e il montaggio”. Non è azzardato da questo punto di vista affermare che “Fermata al 58” è un racconto di immagini. In generale penso che ogni scrittore si forma immagini su ciò che vuole descrivere che poi traduce in parole, nel mio caso particolare sono sicuro che la mia esperienza di studioso di cinema mi porti a usare naturalmente modalità di scrittura cinematografiche. Sul fatto che “Fermata al 58” possa diventare una sceneggiatura non mi nascondo dietro un dito, sì mi piacerebbe, ma niente si è mosso per ora  su quel fronte. 

Ultima domanda. Che cosa succede nel fatidico 58 che dà il titolo al romanzo?

Agli occhi del protagonista cambia tutto. Nel 1958 accadono molte cose che per il giovane protagonista sono decisive, cambiano il mondo e le prospettive di vita. Tanto per incominciare finisce la stagione d’oro del Circolo e lui non può fare lo scatto da “aspirante” a “effettivo”. Non dimentichiamo che il ragazzino ha uno sguardo epico della realtà che vive, tutto per lui è importante e decisivo. Nel 1958 muore Fra Nicola che il ragazzino ha conosciuto a da cui ha avuto l’imposizione delle mani; chiude il mercato vecchio del Largo; muore la squadra del Manchester United; in Svezia si svolgono i campionati del mondo di calcio senza l’Italia; la canzone “Volare” annuncio di un cambiamento del costume vince a Sanremo. Infine nel 1958 muore Pio XII e gli succede Giovanni XXIII che ha una sua idea dell’Associazione Cattolica che non va a genio al protagonista bambino. Fa capolino quella che lui chiama la “politicanza”, incomincia il benessere economico, la dignitosa povertà e finisce per sempre l’età dell’innocenza. 

Enrica Anedda Erdrich, Avvocato, è direttrice artistica di “ Cinemecum”. 

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