Canto e incanto, cantare e incantare in Piero Marras_di Antonio Maria Masia

Canto e incanto, cantare e incantare, sono parole e concetti che spesso vengono utilizzate e che utilizziamo per descrivere e raccontare il nostro cantautore preferito, l’artista che riesce a trasmetterci emozioni e stupore, che ci incanta e fa sognare.

Ancora una volta anche io, volendo scrivere parole e concetti sul mio cantautore preferito: Piero Marras, vi faccio ricorso a piene mani, con la totale e sincera consapevolezza che quanto riuscirò ad appuntare sul foglio non è esagerazione, non è l’adulazione quasi scontata e dovuta da parte di un amico ad un amico. 

Piero Salis d’anagrafe, Marras d’arte e di fama, rappresenta, uno dei vertici più elevati, se non il più elevato almeno per me, nel settore di quel canto e di quella musica che esprime nei suoni e nella lingua la Sardegna con le sue caratteristiche sociali, storiche e antropologiche.

Mi piace indirizzare questa occasione di riflessione e rivisitazione intima dell’arte di Piero ai giornali dell’amico Giorgio Ariu, segnatamente “Sardegna Tavola”, partner del Gremio per lo svolgimento, da 11 anni di seguito a Roma, della rassegna annuale, da lui creata circa 40 anni fa: “L’Isola che c’è””, di cui ricorderò in particolare la prima insieme del 2009 che vide come protagonista principale, per l’appunto, il nostro Piero.

 Lo conoscevo da alcuni anni e lo seguivo con incanto (ed ecco la parola magica d’inizio) correndo dietro i suoi recital di successo e partecipatissimi nelle varie piazze dell’Isola, durante le mie vacanze estive, ascoltando e riascoltando le sue canzoni ed anche incontrandolo e conversandoci in private e amicali occasioni.

Naturalmente non limitandomi al solo fascino del suo cantare “in sardo” ho avuto modo e tempo di ripercorrere anche il suo iniziale e giovanile percorso di cantautore  “in italiano”, trovando di grande interesse e attrazione alcune sue canzoni, su suoi testi, di successo, contenute nei primi Album dal 1977 al 1982 come “Fuori Campo: “Diglielo tu Maria , come “Stazzi Uniti”: “L’ultimo capo indiano”, come Marras: “Quando Gigi Riva tornerà”. Sarebbe bastato questo per apprezzare fortemente la sua poliedrica capacità e qualità di poeta compositore e cantante.

Ma, quando l’ho incontrato e ascoltato per la prima volta tanti anni fa, in una serata d’estate in una piazza di Valledoria, ricca di festa paesana e di gente allegra, la scintilla è scattata d’incanto al suono di un canto che, come acqua fresca da fontana, appagava allora la mia continua sete, in fondo mai appagata completamente, di sensazioni, emozioni, parole, suoni e concetti sardi.

Quella “Funtanafrisca” (dal titolo di uno dei suoi primi Album in sardo del 1987, venuto subito dopo un fantastico Album del 1985 “Abbardente”), quelle sensazioni venivano dal palco, da un artista che si definiva “sirbone” (cinghiale), che ad un certo punto sventolava la bandiera sarda e che mi trascinava dentro l’armonia e le sonorità di versi bellissimi e intensi, alcuni noti: Barones, Anghelos, Mere Manna. Ballade… Altri per me nuovi di zecca. Alternando con alcuni testi del “tempo italiano”: “Notte Lituana”, “Il figlio del re”, “Bestiolina”… Versi in canto accompagnati dagli straordinari balletti di una compagnia “Tersicore” di quattro agili e belle ragazze capitanate da Anna Paola Della Chiesa, amiche di Giovanna, mia nipote, che mi aveva, fortunatamente, invitato a partecipare. Grato per sempre! Quell’incontro con Piero e lo scambio di alcune parole, a conclusione del concerto, rimangono indelebili nella mia memoria ed alla base del mio “innamoramento”.

Che è proseguito intenso e mai più cessato nel tempo, e che ha visto intrecciare l’attività del Gremio, che avevo iniziato a presiedere, con Piero Marras e le sue opere, le sue poesie che continuavano a rifluire in Album straordinari come “Tumbu” del 1995, con “Bae Luna” dalla meravigliosa poesia di Frantzischinu Satta di Nuoro, “Trumas”, “Sa Oghe ‘e Maria” scritta per la grande Maria Carta. E come non ricordare “In su cuile de s’anima” Album del 2001 con “Anghelos” e “Fiza me’”, oppure “B’est” Album del 2003 con “Durusia”, “Mere Manna”, “Babbu meu”.

Del percorso di Piero con il Gremio voglio ripercorrere e riassumere alcuni momenti fondamentali.  

A partire da “Sa Die de sa Sardigna 2009”, che ricordammo e celebrammo il 26 aprile, alTeatro Euclide con interventi dello storico Federico Francioni di Sassari, e dell’indimenticabile compianto Paolo Pillonca di Cagliari, giornalista e poeta, il cultore e determinate “salvatore” dall’incuria e probabile oblio della poesia sarda improvvisata “a boghe ‘e luna”, peraltro autore di alcuni fra i testi più belli armonizzati e cantati da Piero. Che era presente anche lui in quella occasione con un bellissimo e commovente concerto.  Nel corso del quale, propose per la prima volta, la sua ultima novità : “Jeo no ‘ippo torero”, la stupenda lirica del poeta Antonino Mura Ena, che immagina l’incontro e il confronto, nel delirio della morte, fra un giovane vaccaro di Lula, Juanne ‘Arina, incornato da una vacca nel cortile della sua casa e il grande toreador di Siviglia, Jgnazio Sanchez Mejias, incornato da un toro nell’arena alle cinque della sera, e immortalato dal mio poeta non italiano preferito Federico Garcia Lorca.

Da quel teatro romano, Piero, ci ricordò che lui era stato tra i promotori e realizzatori, nel corso della sua parentesi politica di consigliere regionale, della formalizzazione istituzionale della festa dei sardi: Sa Die de sa Sardigna, 28 aprile di ogni anno, nel ricordo dell’accadimento storico del 1794: la cacciata dei Piemontesi da Cagliari.

Pochi mesi dopo, 24-27 settembre, di nuovo Piero è con noi a Roma, in un palco eretto in una pubblica e conosciuta piazza romana: piazzale Ankara, davanti allo splendido declivio verde della collina Parioli  da una parte e lo storico e scenografico stadio Flaminio dall’altra, non ancora in completo degrado e abbandono come, purtroppo di questi tempi.

Piero Marras – L’Isola che c’è 26-9-2009 Roma, Piazzale Ankara

L’occasione è da grande evento: la prima delle 11 edizioni de “L’Isola che c’è – Sardegna incontra Roma” in partenariato con il Gremio, che il suo “papà” Giorgio Ariu ha fissato a Roma, dopo un lungo girovagare per alcune città d’Italia con altri Circoli sardi.    

E’sabato 26 settembre. La serata è di quelle belle, serena e carezzevole che solo Roma sa magicamente regalare, con il suo famoso “venticello” per il grande e atteso evento: il concerto di Piero Marras.   Per quella speciale occasione così avevo raccontato, in uno dei giornali di Giorgio Ariu: “Grande partecipazione ed emozione al suono e canto delle sue più belle canzoni. Il corpo di danza “Tersicore, a volte in abbigliamento da “amazzoni nuragiche”, ha conferito come sempre al concerto di Piero ulteriore fascino e coinvolgimento. Nelle canzoni di questo musicista-poeta, alcune delle quali lui accompagna con garbati ma interessanti riferimenti sociali e culturali, non c’è mai niente di banale e di sdolcinato. Ci sono messaggi, c’è vera poesia, c’è il senso profondo di una appartenenza, di una identità mai chiusa o retrograda, ma sempre aperta al confronto. C’è il continuo richiamo alla necessità di lottare sempre per affermare i propri valori, per conservare, amare e coltivare con fierezza, senza esibizione di orgoglio, la propria identità.

Per riappropriarci con sano orgoglio “de sa Limba nostra e de sos ammentos nostros” (della nostra lingua e delle nostre memorie) per onorare i nostri padri, ma arricchendoci di cultura e disponibilità al fine di superare paure e titubanze nei confronti del diverso. Per essere, con questo bagaglio culturale e di convinzioni, pronti al confronto ed alla contaminazione con gli altri, “cun sos diversos pro naschida e colore” (con i diversi da noi per cultura e colore della pelle).

Ancora. Era d’agosto del 2014, enon m’era sfuggita una successiva occasione d’incontro e ascolto: Piero Marras in concerto ai piedi del maestoso “Santu Antine” di Torralba, uno dei nuraghi più belli e significativi della Sardegna. Anche quella bellissima indimenticabile serata, con una luna, amica fedele di un antico passato presente, avevo fissato in una nota titolata ”La lezione musicale di Piero Marras sotto le stelle nella reggia nuragica di Santu Antine”,  che in parte riassumo così:

“Una notte magica!
Di giorno la piana di Torralba spazzata da un fastidioso vento che minacciava le strutture predisposte, la stabilità dello schermo e la  buona riuscita dell’evento, e poi il “miracolo” (Piero afferma, quasi con laico pudore ma con fermezza: “ne ero certo”) di una serata tranquilla e solenne come il maestoso monumento nuragico, magistralmente illuminato.
Indelebile testimonianza non solo di un importante e significativo passato,  ancora misterioso perché mai adeguatamente studiato e approfondito da sardi e da terzi (a parte qualche importante e storica eccezione ad esempio il “sardus pater” Giovanni Lilliu), ma, ci tiene a sottolineare il nostro cantore, anche e soprattutto riferimento di un futuro per tutti e specie per i giovani, sul quale occorre concentrare sforzi e volontà…

… E Piero, come sempre, non ha deluso le mie aspettative, e neppure  quelle del numeroso pubblico presente, chi seduto e chi in piedi ad ascoltarlo in religioso silenzio nuragico, a parte i tempi per i frequenti applausi di consenso e condivisione.
Il nostro ha trovato in quello scenario incantevole confortato da una leggera brezza amichevole e ristoratrice, le parole giuste, l’atteggiamento sobrio e autorevole (da anziano capo nuragico), le canzoni e le musiche appropriate… … Due ore generose, come sempre gli accade, di canzoni attraverso le quali, e ci tiene a sottolinearlo, ci ricorda invitandoci a “coltivarli” alcuni nostri grandi, non sempre giustamente e unanimemente conosciuti e ri-conosciti, poeti sardi (anche quando hanno scritto in italiano) come Cicitu Masala,  Antoninu Mura Ena, Peppinu Mereu, Pedru Mura e Paolo Pillonca. Interessante la sottolineatura di Piero riguardo alla maggiore naturalezza, nonostante le difficoltà e complessità del caso, a tradurre in musica e canzoni le poesie sarde rispetto alle poesie in italiano, come a voler dire che tra la poesia in Limba e la musica che la diffonde e la rende pubblica c’è sempre corresponsione e contiguità.
… La nostra Isola ha mille problemi, ma ha tesori inestimabili come questo monumento ai piedi del quale ho l’onore immenso di cantare e parlare, dice Piero.  “La lingua, sa Limba sarda di cui andare fieri è un altro dono dei nostri avi -prosegue- da non disperdere, così come quell’insieme dei codici di comportamento che uniscono e fondono in comunità custa “zente” (questa gente) sarda di dentro e di fuori.
 … Le note di “Ballade e cantade ‘ois, chi sos ballos sun sos bostros… su un ritornello di Cicitu Masala, con le “Tersicore” che ripetono fieramente nei gesti il concetto di reazione e di ripresa quando “sos ballos han’a essere sos nostros…”,   quando i balli saranno i nostri… Hanno dato al pubblico una emozione fortissima, quasi una voglia immediata di riscatto da una condizione lungamente subalterna ed emarginata.
I brividi ad ascoltare in quel contesto incredibilmente ma veramente identitario canzoni  religiosamente laiche come in  “Mere Manna” con il notissimo ritornello “rundinedda, rundinedda.. che non ti si leva dalla mente e dalle labbra, o di amore come in “Ses Tue”, o di denuncia sociale rabbiosa e indignata contro le ingiustizie e i tradimenti come in “S’Istrale” e  contro le ancora attuali vergognose e mercantili servitù militari altamente inquinanti, che tengono in ostaggio una parte bellissima della nostra Isola  come  in “Quirra” (l’unica cantata in italiano, terreno sul quale Piero ha segnato specie agli inizi della sua carriera indubitabili successi), o di gridato commovente affetto per un padre perduto con dolore e sofferenza come in “Babbu Meu”.
E in chiusura la  stupenda (mi scuso per la ripetitività di alcuni aggettivi, ma è inevitabile) preghiera per la pace e l’amore sulla terra di Piero rivolta con spirito laico ma altamente e moralmente religioso agli angeli sardi: Anghelos chi cantades a luche ‘e luna/ frores de custu chelu colore ‘e pruna/fachide chi su tempus torret a inoche/a cando custa terra fit “una oche” (Angeli che cantate alla luce della luna/fiori di questo cielo color prugna/fate che il tempo ritorni qui/a quando questa terra si esprimeva con un’unica voce) 
Ed infine l’anno scorso il 23 febbraio 2019, il conferimento a Piero a Roma, nella sala Italia dell’UnAR, Unione delle Associazioni Regionali di Roma e del Lazio,  della seconda edizione del Premio internazionale “Tacita Muta” per le lingue minoritarie , insieme all’ideatore dell’iniziativa Neria De Giovanni, per l’AICL, l’Associazione Internazionale dei critici letterari, la Fondazione Vp Sardinia con Valentina Piredda , l’Associazione Salpare con Massimo Milza e il Fogolar, l’Associazione dei friulani di Roma con il suo presidente Francesco Pittoni, con una motivazione che in parte riprendo:

Da sx Francesco Pittoni, Antonio Maria Masia, Piero Marras, Neria De Giovanni

“… Definire il cantautore sardo grande testimone della nostra cultura e della nostra identità non è né esagerato, né retorico ed è anzi poca cosa: da accomunare in questa sua “missione antropologica” agli indimenticabili e sempre rimpianti Maria Carta e Andrea Parodi…
Il nostro sirbone (cinghiale), come ama definirsi, ha trovato nel corso del suo lungo e brillante percorso umano e artistico, le parole giuste, l’atteggiamento sobrio e autorevole (da anziano capo nuragico), le canzoni e le musiche appropriate per raccontarci con passione e verità la sua e nostra Sardegna. Una trama di parole, di versi, di suoni e di canti (sas cantones de una vida), che ci hanno dato, nel corso del tempo, una vera e propria “lezione” sulla storia e sulle tradizioni, i costumi della nostra Isola, sui nostri, più o meno apparenti, punti di forza e debolezza, sui nostri cromosomi e dna. Con richiami a volte espliciti, e comunque mai ambigui, a prendere spunto e trarre alimento dalle nostre ricchezze culturali e naturali per tradurle in vera e duratura rinascita…

Valori che fanno scaturire quella che è l’identità o particolarità antropologica e sociale della Sardegna.  Valori e caratteristiche che reggono una comunità e che debbono trovare applicazione costante e appassionata da parte di tutti. Siamo noi i protagonisti della nostra storia e del nostro futuro in sana e leale competizione con altre identità e altre storie, senza orgogli nazionalistici sterili e pericolosi o esibizioni vuote ed inutili spacciate per folclore, con offesa al vero folclore, che significa “sapienza dei popoli”. E per comunicarci questi valori e questi “ammonimenti” ecco cantate dappertutto e commentate le sue più belle canzoni, quelle d’amore dolcissime, quelle sociali dure ed implacabili contro ruberie, traffici e disagi, quelle ambientali e di tradizioni così suggestive e a volte talmente malinconiche da alimentare una sorta di “mal di Sardegna” per chi ne vive fuori…

Nelle canzoni, solo per ricordarne alcune, come “Amore”,  “Ballade”,  “Mere Manna”, “Ses Tue”,  “S’Istrale”, “Quirra”, “Babbu Meu” , “Anghelos”, “Sa oghe ‘e Maria”,  “Jeo no ‘ippo torero…  o come le recentissime contenute in”Istorias”, ultimo doppio Album uno in sardo e uno in italiano del 2019sulla vita e le storie sfortunate e tragiche  di chi è stato recluso nelle colonie penali sarde, c’è, con intensità ed emozione, il senso profondo, fiero e gentile della nostra identità.Basta riflettere su questi suoi versi in “Ballade”: “Donzi abba curret a su mare / donzi logu a s’ammentu impare / donzi populu a sa libertade / a sa libertade / Donzi tempus torrat a s’istoria / donzi identidade a sa memoria / donzi cara torrat a su coro / torrat a su coro (Ogni rivolo corre al mare/ogni luogo ha i suoi ricordi/ ogni popolo corre verso la libertà/ la libertà/Ogni tempo segna la sua storia/ Ogni identità insegue la sua memoria / Ogni viso rispecchia il cuore…

Piero non mancò, ancora una volta, di generosità e gentilezza regalandoci, in un’ampia sala gremita, un concerto al pianoforte di alcune delle sue più belle canzoni di sempre in sardo e in italiano, trasportandoci magicamente a dispetto della giornata romana di febbraio particolarmente e minacciosamente ventosa: in un mondo, quello della musica e della poesia che sempre rinasce e riprende  colore chei “sos frores de mendula in Frearzu”, come i fiori del mandorlo in febbraio, per chiudere con una sua espressione, il titolo e il verso finale di una sua struggente, identitaria composizione.

Pubblico in incanto al canto di Piero!

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