Viaggiare è una parte essenziale della mia vita, appaga il mio desiderio di vedere luoghi nuovi, la mia curiosità, quella che lo scrittore-viaggiatore Bruce Chatwin chiamava, semplicemente, irrequietezza. Del viaggio mi è sempre piaciuto tutto: pensarlo, prepararlo, immaginarlo prima ancora di viverlo. Adoro gli aeroporti, luoghi che sembrano esistere al di là dal tempo e dallo spazio, dove tutti sono in transito verso qualcosa, verso qualcuno.
Mi piace sfidare la mia paura di volare, forte nel momento del decollo, quando in cabina scende il silenzio e domina una tensione palpabile, che svanisce completamente solo nel sollievo dell’atterraggio. In questi giorni avrei dovuto essere a Istanbul per un viaggio deciso da tempo, il regalo per il mio compleanno. L’avevo scelta perché avevo “assaggiato” questa città con la sua atmosfera unica e affascinante in un veloce fine settimana lo scorso dicembre e volevo immergermi più in profondità nella sua anima complicata.
“Se a un uomo venisse concessa la possibilità di un unico sguardo sul mondo, è Istanbul che dovrebbe guardare”, sosteneva il poeta Alphonse de Lamartine. In effetti è lì, in quella che fu Costantinopoli e Bisanzio, capitale di grandi Imperi, che Europa ed Asia si incontrano. Oriente e Occidente, due anime diverse e spesso in conflitto, che insieme danno vita a una metropoli dalla personalità variopinta quanto irresistibile, resa sublime dai tramonti infuocati sul Bosforo, lo stretto che l’attraversa dividendola a metà.
Il posto ideale per innamorarsi, lasciandosi trasportare dal suo caos, dai colori e dai profumi dei bazar, dai fotogrammi di storia che emergono ad ogni angolo, per farsi tentare dai “mezze”, i tipici antipasti misti, per provare la “pitta” (quella che i turchi considerano la loro pizza) e per concedersi l’esperienza di un hamam, il rituale del bagno turco (che poco ha in comune con quelli dei centri benessere occidentali).
Dopo aver visitato i luoghi più famosi (il Palazzo Topkapi, Santa Sofia, la basilica Cistern, la Moschea blu, sono solo alcuni) e aver passeggiato sul Ponte di Galata, si può cercare il Pera Palas, il mitico hotel dove Agatha Christie scrisse Assassinio sull’Orient Express. La sua stanza, la 411, è la più richiesta, e va prenotata anche con un anno d’anticipo. Costruito nel 1892 su progetto del francese Alexandre Vallaury come terminal dell’Orient Express, ospitò alcune delle più celebri donne del Novecento. Mata Hari abitava la stanza 104. Greta Garbo la 103. Sarah Bernhardt la 304. Vi soggiornarono anche Ernest Hemingway e Graham Greene.
In effetti Istanbul è una città perfetta per uno scrittore: è lo scenario ideale per rocambolesche avventure di spie internazionali, storie d’amore che intrecciano dramma e romanticismo, personaggi potenti e malinconici. Per prepararvi all’incontro con questa città magica, in questo periodo nel quale ci è concesso di viaggiare solo con la mente, vi consiglio di leggere lo struggente “Istanbul” di Orhan Pamuk, oppure il nostalgico e romantico “Rosso Istanbul” di Ferzan Ozbetek. Non riusciranno ad attutire la scossa che questa metropoli vi trasmetterà, ma vi metteranno nel mood giusto per lasciarla entrare sotto la vostra pelle.
Io, molto più modestamente, vi regalo qualche appunto semiserio dal mio moleskine personale, con l’augurio di tornare presto a viaggiare davvero. Istanbul è una metropoli con 15 milioni di abitanti. Preparatevi a fare i conti con un traffico un po’ “disordinato”. I tassisti sono spesso nervosi, voi mantenete la calma ripetendo mantra benauguranti durante la corsa
La vostra vita da pedoni potrebbe essere breve: usate bene i (pochi) attraversamenti pedonali e state sempre all’erta (nessuno rallenterà per farvi passare). Pochi parlano inglese, tranne che nei bazar, dove converserete in tutte le lingue del mondo, italiano compreso Tutti fumano ovunque (si, anche nei ristoranti), donde l’espressione “fumare come un turco”
In Turchia tutti amano i gatti: ne vedrete ovunque, belli, puliti e paffuti. Potrete addirittura trovare aree attrezzate dedicate a loro dove le persone vanno solo per la gioia di vederli giocare.
La parola che sentirete più spesso è “taman” che significa ok, va bene
Saluterete dicendo gunaydin (buongiorno) o, più in generale, merhaba (salve)
Esercitatevi a pronunciare la parola più gentile, tesekkurler, grazie (tranquilli, è più facile di quello che pensate). Ricordatevi che la gratitudine è sempre una buona idea, in tutte le lingue del mondo, soprattutto di questi tempi…