Le minestre sono solo un ricordo?_di Giampaolo Lallai

I nostri tempi sono improntati alla velocità, lo sappiamo bene. Ogni cosa dev’essere fatta il più rapidamente possibile, perché abbiamo sempre da correre da un’altra parte, importanti persone da incontrare, urgenze e scadenze più impellenti. Ormai le nostre giornate sono scandite solo dalla fretta. Le soste e le pause da dedicare magari a noi stessi, sono lussi che, in un rigore che a volte rasenta l’incredibile, non ci possiamo permettere in assoluto. Sembrano, quindi, appartenere ad un’epoca ormai lontanissima, gli appuntamenti fissati non con occhio allo scoccare perfino dei secondi, come molto spesso accade oggi, ma addirittura facendo riferimento ad un momento della giornata molto generico ed impreciso. Eppure molti di noi li ricordano bene. Ad esempio: “Ci vediamo al tramonto”, “Verso l’alba”, “All’ora di cena”. Provate a farlo oggi. Vi guarderanno male, molto male.

La frenesia, purtroppo, ha intaccato anche le nostre abitudini alimentari. Non solo si pranza e si cena in pochi minuti, ma si mangiano sempre le stesse pietanze, quelle più facili e più svelte da cucinare. Non potrebbe essere diversamente in quanto nessuno ha più tempo da stare accanto ai fornelli, neppure le donne, entrate di diritto nel mondo del lavoro. Le casalinghe a tempo pieno sono una categoria in via di estinzione. Le conseguenze pratiche sono evidenti e pian piano stanno modificando persino la cucina tradizionale, quella delle nostre mamme e nonne. Pensate alle minestre. Sono quasi completamente sparite dalle mense sarde, proprio perché la loro preparazione richiede impegno e tempo. 

Eppure sono sempre state una parte molto importante della cucina isolana e non solo di quella povera. Se ne conosceva una varietà davvero notevole. Quasi tutte avevano la caratteristica particolare della tecnica culinaria sarda: erano confezionate allo stato naturale, ossia senza l’uso di spezie o di droghe, non gradite al palato semplice, ma esigente, dei sardi. In compenso, tuttavia, richiedevano specifici espedienti di cottura ed una provetta abilità nel cucinarle, una vera e propria arte, abbinata ad esperienza e pazienza, che veniva tramandata di generazione in generazione.

Certo il primo piatto più rinomato della Sardegna sono oggi is malloreddus, i gnocchetti di pasta di semola conditi cun bagna, con salsa di pomodoro, e cun sartitzu, con salsiccia suina fresca. Inoltre, a proposito dei vari tipi di pasta, sarebbe addirittura veritiera la notizia apparsa in Lo cunto delli cunti di Giovanni Battista Basile del 1635, studiato nientemeno che da Benedetto Croce, secondo la quale la patria dei maccheroni è Cagliari e non Napoli. Ma le nostre minestre sono altrettanto degne della più alta considerazione. A cominciare, per restare ancora per un po’ nell’ambito della pasta, quella di brodo, da sa minestr’ ‘e fregula, la minestra di fregola; molto apprezzata, specie a Cagliari, è quella cun cociula, con arselle, ma è squisita anche con sa cugutzula, i carciofini selvatici.

Una lunga cottura e, quindi, parecchio tempo sono necessari per le minestre di legumi secchi, minestronis de lori, con i ceci (cixiri), le lenticchie (gintilla), le cicerchie (piseddu), i fagioli (fasolu), le fave (faa), i piselli (pisurci). I legumi, tra l’altro, vanno tenuti a bagno tutta la notte per favorirne l’ammollo e, perciò, diminuire il tempo della cottura. Se anziché fagioli secchi si usano fagioli freschi, tale tempo viene all’incirca dimezzato. Per insaporire in modo particolare le minestre di legumi si adoperano, durante la cottura, alcune foglie di alloro. Ma a renderle ancora più gradevoli e saporite contribuisce in modo specifico l’aggiunta di alcune strisce di cotenna di maiale o di lardo o di pancetta e la pasta aggiunta nella fase finale. Sulla temperatura al momento della consumazione le opinioni sono varie; c’è, infatti, chi predilige i gradi più elevati (buddendi o crocolendi) e chi, al contrario, attende il raffreddamento pressoché totale. L’ideale, come sempre, è una via di mezzo.

Le minestre di legumi sopravvivono tuttora in diverse parti della Sardegna, ma di certo con frequenza di molto ridotta rispetto al passato, soppiantate anch’esse dai gusti nuovi e, come già accennato, soprattutto da quelle pietanze la cui preparazione richiede pochissimo tempo. Di altre tantissime minestre, invece, si è persa ogni traccia. Persistono solo nello sbiadito ricordo di chi le ha assaggiate, magari nella lontanissima infanzia, ossia quando, tra l’altro, i gusti e le preferenze hanno una connotazione non ancora del tutto netta o, comunque, non definitiva. Sappiamo che con la crescita i gusti cambiano. Ognuno di noi ne ha fatto esperienza, in particolare, con il minestrone composto da più ortaggi: fagioli, patate, carote, zucchine, cipolle, melanzane, sedano, etc. Da piccoli tutti, o quasi tutti, l’abbiamo odiato, scartando sistematicamente sull’orlo del piatto ora questo ora quell’ingrediente. Ma poi proprio il minestrone con più ortaggi ha conquistato a poco a poco il nostro gradimento e ci piace assaporarlo persino nelle confezioni surgelate oggi in vendita nei supermercati che, è bene dircelo una volta per tutte, sono ben altra cosa rispetto a quelli fatti in casa. Ma qui dovremmo ripeterci sulla carenza cronica del tempo di cui disponiamo.

Le minestre ormai dimenticate sono un’infinità perché molte erano il risultato della fervida fantasia delle cuoche di allora, ossia anche delle nostre mamme e nonne che amavano stare vicino ai fornelli. Chiunque ha vissuto quell’epoca ormai tanto distante dai giorni nostri ne ha senz’altro un elenco del tutto personale di cui sarebbe molto interessante recuperare la memoria. Anche la gastronomia, infatti, fa parte integrante del nostro patrimonio culturale, ne è una componente essenziale. Di quelle minestre ne ricordiamo almeno qualcuna: la zuppa d’indivia, la minestra di zucche lunghe, la minestra di caccio fresco, la minestra di patate, la minestra di ortiche, la minestra di piselli freschi, la minestra d’orzo, la minestra di cavolo cappuccio, la minestra di ricotta, la minestra di farro, la minestra di frattaglie, la zuppa di carciofi, la minestra di sparlotti, la minestra di porri e patate, la zuppa di cipolle, la minestra di erbe selvatiche, le varie zuppe di pesce, la minestra di castagne, la minestra di porri e patate. 

Ce n’era per tutti i gusti, insomma, ed era un mangiare più sano e genuino. Poteva esservi, semmai, solo l’imbarazzo della scelta. “It’heus a fai a prandiri?” è il titolo di una bella poesia di Franca Ferraris Cornaglia. “Cosa faremo a pranzo?” era il rompicapo (su segament’ ‘e conca) quotidiano delle padrone di casa, il loro pensiero fisso per accontentare la famiglia e soddisfarne il palato. E pur di raggiungere lo scopo erano disposte a impegnarsi per delle lunghe ore a preparare ed a cuocere. Con i pranzi succulenti riuscivano addirittura a rendere malleabili (ammoddiai) i mariti più scontrosi (maridus arrevescius), come assicura in “Su mercau ” Teresa Mundula, un’altra nota poetessa cagliaritana. La minestra era il primo piatto e si prestava, quindi, meravigliosamente a rompere l’eventuale ghiaccio o, quantomeno, a creare tutte le migliori premesse per un proficuo dialogo familiare. Ma ad una condizione essenziale: che fosse una signora minestra, fatta, cioè con grande perizia e passione. In caso contrario i risultati potevano essere di segno esattamente opposto e drammatici. In un sottano del quartiere Marina, a Cagliari, un operaio, certo non di buon umore, prese la pentola e ne rovesciò l’intero contenuto in testa alla moglie. Spiegò, poi, il suo gesto esasperato al giudice dicendo cudda minestra no fiat a dda matziai, non era possibile masticare quella minestra. La padrona di casa, forse, non aveva calcolato bene i tempi di cottura ed aveva portato in tavola una brodaglia in cui galleggiavano i ceci ancora duri (tostaus).

Questi rischi oggi non si corrono affatto. Ma non perché siamo diventati più esperti e capaci. Ma perché al vicino supermercato si trova tutto già pronto o, male che vada, tutto a rapida cottura: pochi minuti e si mangia. Tutto tranne le minestre; quelle possono rivivere solo nei ricordi o in qualche buon testo di cucina sarda che ne tramanda le ricette ma non certo i sapori squisiti. Anche di questi ci siamo dimenticati ormai da un bel pezzo. Non resta che sognare il loro ritorno, tanto sognare non costa nulla, e, se si ha fretta, lo si può fare anche ad occhi aperti.

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