Ristoranti e pasticcerie: quelli sopravvissuti a Cagliari_di Pierpaolo Vargiu

Mia nonna è morta che mia madre aveva dodici anni. Non c’è dunque da stupirsi che i “cavalli di battaglia” della cucina di casa mia fossero la pastasciutta al ragù e le bistecche al tegame. Offerta “povera”, che pure non mi ha mai condannato al sottopeso, ma è probabilmente in grado di giustificare il mio mediocre profilo da buongustaio. Mi trovo dunque in discreto imbarazzo a raccontare profumi e sapori della cucina cagliaritana che, forse io per primo, non conosco sino in fondo. Però, parlare di cibo nostrano è divertente per cui, premesso di non potermi atteggiare a professore, qualcosa da dire ce l’ho. Inizierei da quei ritornelli che -da ragazzino- mi sono abituato a ripetere, come un pappagallo. Chi non conosce il nostro mantra? “Il maialetto sardo non ha uguali nel mondo. I nostri culurgiones sono i migliori del creato. Il prosciutto di Villagrande Strisaili è il must tra i salumi del pianeta. Il torrone di Aritzo è unico. Ma avete mai assaggiato il limoncello sardo? E’ nettare degli dei. A Cagliari, caput Sardiniae, si trova tutto!” Sino a quando non ho iniziato a girare il mondo, a questo refrain ci ho creduto anch’io, pensando davvero di abitare in un’isola –la Sardegna, quasi un Continente- che fosse pluricampione del mondo. Poi ho conosciuto il prosciutto Pata Negra e il limoncello di Sorrento e ho capito che le cose nostre sono buone, ma è meglio non gonfiarsi troppo il petto.

Molti altri posti in Italia e nel mondo hanno cucine più varie e gustose della nostra. Per cui, se vogliamo gareggiare, mettiamo al bando le trionfalistiche autoreferenzialità, che puzzano di provincialismo insulare, e proviamo invece a valorizzare sino in fondo le nostre peculiarità. Circolo a piedi per Cagliari, sia per spostarmi che -a tempo perso- guidato dalla curiosità o dalla nostalgia. Abito in un quartiere cagliaritano, la Marina, che è ormai diventato il “distretto food” della città: l’offerta è pressoché infinita e di assoluta qualità. Direi una bugia se affermassi di sfruttarla sino in fondo: in realtà ho una moglie che cucina meglio di mia madre e, per aggiunta, mi piace avere una casa aperta agli amici.

Insomma, da solo o in compagnia, mangio quasi sempre tra le mura domestiche.Però, vado molto spesso in giro, a buttare l’occhio tra le insegne sempre nuove dei ristoratori dellaMarina: il quartiere è un paesotto dentro la città ed io mi godo il gusto inclusivo di sentirmi in famiglia. Passeggiando con il naso all’aria, quasi mi vergogno nel declinare gli inviti ad entrare nei locali, spiegando che non cerco cibo, ma cerco invece le insegne pubblicitarie –ormai quasi tutte spente- che mi ricordano l’infanzia e la gioventù. Il Ristorante Italia, storicamente dei Mundula, è uno dei pochi sopravvissuti, forse perché si mangia davvero bene.

Sempre in Via Sardegna, c’erano “la Gobbetta” e “la Rosetta”, che magari si fornivano nei due templi della gastronomia cagliaritana degli anni sessanta: le salumerie Vaghi e Pisu di via Bajlle. Nel palazzo d’angolo tra la via Sardegna e la via Napoli, oggi mirabilmente ristrutturato dal radiologo Paolo Deriu, mio padre portava la famiglia alla “Bella Cagliari”, con le sue finestre al primo piano. Allora, come oggi, un cult era “Lillicu”, che ha mantenuto negli anni cucina e ambiente del tutto particolari. Ma in realtà, i dintorni di via Sardegna e via Bajlle, quartiere di marinai affamati e di traffici commerciali pisani, hanno sempre garantito un’offerta di piole adatte a tutti i palati e –più ancora- a tutti i portafogli, compresi quelli degli squattrinati studenti universitari che, insieme a me, nei primi anni ottanta cercavano l’offerta più economica per festeggiare un esame andato meglio del previsto o un compleanno tra amici.

Ho detto di mia mamma, che non era formidabile in cucina. Ma ho colpevolmente sorvolato sulla passione per la pasticceria di mio nonno materno, di cui ho raccolto l’eredità. A dire il vero, nella famiglia di nonno Manca, l’inclinazione dolciaria era ubiquitaria e mio zio Enrico era notissimo a Cagliari con l’allumingiu di “past’e latti”. Tra le paste, amava sopra ogni cosa quelle alla crema. Nei miei ricordi di bambino, il dessert in tavola c’era soltanto alla domenica. Per la commenda, l’incaricato era proprio nonno, per la sua competenza riconosciuta. Il fornitore era sempre lo stesso: l’Offelleria Meloni Ramondetti di via Bajlle, una delle più raffinate della città. Imbattibile nella torta russa e nella frittura araba, che mio nonno innaffiava sapientemente con un goccio di Villacidro Murgia giallo.

Non esisteva ancora la pasticceriamignon per cui nonno –goloso e un po’ diabetico- era stato costretto ad inventarsela. Di fronte al vassoio con le paste, che soltanto lui poteva scartare al momento opportuno, procedeva con abilità chirurgica a dividere ciascun dolce in quattro o sei parti. In questo modo, poteva assaggiare tutto per poi dedicarsi con più determinazione a ciò che lo aveva convinto maggiormente. Per i dolci, io seguo dunque le leggi di Mendel familiari e posso davvero dare suggerimenti attendibili. La frittura araba vado a comprarla al Floriana di Piazza Garibaldi, che purtroppo ha cambiato il forno di cottura e non fa più le conchiglie alla crema di una volta. La torta russa, con i canditi o senza, la ordino al Bar Equador del Corso, dove, prima di scegliere la pasta per la colazione, chiedo sempre qual è l’ultima sfornata.

Se per pigrizia non ho voglia di arrivare sino al Corso, il bar Murgia, all’angolo di Viale Trieste è una buona alternativa. Al Caffè Genovese di via Logudoro, consiglio la sosta per il cannoncino ancora caldo, per la diplomatica e per l’americana. Chi volesse andare oltre il centro, non si pentirà al Tartufo, di fronte alla chiesa di Santa Lucia, alla Speciale di Via Cugia o nella piccola pasticceria Elite, di via Tuveri. Per gli amanti delle novità, può valere il tempo della passeggiata sino al Number One di viale Santa Avendrace, da Alice in Piazza Repubblica o da Pbread in viale Colombo. Io non vado pazzo per la crema chantilly, ma devo riconoscere la grandiosità in materia di Chez le Negre in via Sonnino, paragonabile soltanto alle meringhe –uniche e speciali- di Tramer, in piazza Martiri. Infine, agli amanti delle torte e delle cheese cake, o di una zuppa inglese regale, consiglierei comunque un saltino da Dulcis, in via Bajlle.

Insomma, si sarà capito. Chi cercaun consiglio da me sulla novelle cousine o sulla cucina tradizionale cagliaritana e sarda rischia di restare deluso. Invece sulla pasticceria cittadina (chiedo scusa a chi ho dimenticato!) faccio tutta la mia porca figura. Nonno Manca sarà orgoglioso

©Sardegnatavola

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