La pancia della città_di Giampaolo Lallai

Tra gli antichi quartieri di Cagliari Marina è sempre stata la porta aperta verso la città per chi vi arrivi dal mare. Anche molti dei numerosi conquistatori che si sono succeduti nei secoli sono passati, in prevalenza, da qui e qui hanno avuto il primo impatto con la popolazione locale. Perciò gli abitanti di questa zona hanno dovuto affinare nel tempo la capacità di rapportarsi con la gente che viene da fuori, cercando di convivervi nel migliore dei modi. I traffici commerciali che hanno caratterizzato il porto, a ridosso del quale si sviluppa il quartiere, hanno anche recato continue novità ed introdotto costumi, usanze, neologismi, riti religiosi, mode, che spesso si sono propagati all’intera Isola e di cui ancora oggi esistono tracce evidenti nel nostro patrimonio culturale e nella stessa identità popolare.

Anzi, gli influssi delle culture esterne rappresentano una parte determinante e fondamentale nella storia di Cagliari ed hanno contribuito a forgiare la mentalità dei suoi abitanti Dopo la presa di possesso di Cagliari da parte degli Aragonesi (1326), con il nome Lapola si indicò, in seguito, il porto nel suo complesso ed il rione che si formò vicino ad esso. Vennero costruite le mura di difesa che cingevano il quartiere partendo dalla torre dell’elefante per giungere sin quasi al mare, dove fu innalzato il bastione di Sant’Agostino (così denominato per la vicinanza della chiesa omonima extra moenia); da qui proseguivano verso est fino alla porta Jesus. In questo tratto si trovava la porta di acceso al porto vero e proprio, delimitato dalla palizzata lignea, cioè da un migliaio di pali confitti nel fondo del mare e fuoriuscenti dal pelo dell’acqua per qualche metro. Le mura, poi, risalivano verso il Castello lungo l’attuale viale Regina Margherita ed arrivavano alla porta Villanova.

Sono stati i catalani a dare una precisa fisionomia al quartiere con la costruzione di strade verso il Castello che tuttora lo caratterizzano. Edificarono la chiesa di Sant’Eulalia proprio nel cuore di esso e crearono spazi destinati alle attività e, in particolare, di quelli di Marina.

Le origini di questo quartiere storico di Cagliari sono molto antiche; risalgono addirittura al V-IV secolo a.C. quando le aumentate esigenze mercantili portarono ad abbandonare il vecchio approdo di Santa Olila. Materiali cartaginesi sono stati rinvenuti nella costa antistante la collina di Castello e, precisamente, nei pressi della zona corrispondente all’attuale viale Regina Margherita.

Con la conquista romana l’area urbana si è concentrata nel territorio corrispondente all’attuale Piazza del Carmine, Nella zona dell’odierna via Roma, durante i lavori di scavo per la costruzione delle fondamenta del Palazzo del Consiglio Regionale della Sardegna, sono state trovate delle cisterne che fungevano da strutture idriche a sostegno delle attività portuali. E proprio alla presenza di tali cisterne e di alcuni edifici termali, adibiti a bagni, si fa risalire il toponimo di Bagnarla (dal latino balneum), diffuso intorno al Mille ed attestato nella documentazione pisana, con il quale si indicava il primitivo borgo marinaro. Tale denominazione risulta ancora usata agli inizi del secondo Millennio, pian piano soppiantata, tuttavia, dal termine Lapola (era così chiamato il luogo su cui venivano depositate le merci per lo sbarco e l’imbarco), che diventerà il nome definitivo, precedente a quello moderno di Marina. commerciali e mercantili. La darsena fu collocata, all’in- circa, all’altezza dello sbocco su via Roma dell’odierna via Barcellona che già nel Quattrocento raggiunse una discreta densità edilizia, come, del resto, la ruga de is moras, l’attuale via Napoli, così denominata perché vi abitavano famiglie o discendenti di ex-schiave che erano riuscite a riscattare la loro libertà. Nei pressi di Sant’ Antonio si trovava, invece, il carter dels ferrers, dove lavoravano diversi fabbri.

La vita del quartiere è sempre stata strettamente legata al porto, considerato “notevole” sotto il profilo della ricettività. Furono, in particolare, gli aragonesi, nel Trecento e Quattrocento, a creare le infrastrutture idonee ad uno scalo commerciale molto rilevante per le rotte mediterranee del tempo. Le navi provenivano, in prevalenza, da Barcellona, Valenza, dalle Baleari, da Marsiglia, da Genova, Napoli, Palermo, Venezia, Civitavecchia. Le merci portate consistevano in stoffe, seta, lino, manufatti in genere; quelle in partenza, invece, erano soprattutto vino, formaggi, cereali, pelli, sale e bestiame.

Verso la metà del Cinquecento il volume dei traffici fu molto consistente ed il porto di Cagliari vi si adeguò, dotandosi di un’assistenza adeguata alle imbarcazioni non solo per lo scarico ed il carico delle merci, ma anche per l’approvvigionamento di acqua e di viveri in vista della ripresa della navigazione, nonché per la riparazione di eventuali danni. Si costituì, addirittura, un’apposita corporazione, il Gremio di Sant’Elmo, che riuniva scaricatori, carpentieri e addetti ai lavori portuali sotto un unico statuto il cui scopo era quello di garantire ai naviganti un pubblico servizio nell’arco dell’intero giorno e della notte.

La maggior parte dei lavoratori e degli operatori portuali, dagli scaricatori ai marinai, ai bottai, ai ristoratori, ai cambiavalute, ai trasportatori, ai carpentieri, così come del resto i pescatori ed i mercanti, risiedevano nel quartiere, vicino al loro posto di lavoro; perciò l’intera economia di questa zona cittadina era legata a tali attività che, a loro volta, ne attirarono delle altre. Popolavano il rione, infatti, anche sarti, calzolai, barbieri, fabbri, muratori, falegnami, farmacisti, notai, orafi. Molti, specialmente i mercanti, non erano sardi, ma catalani, maiorchini, valenzani, siciliani, napoletani, corsi, francesi, toscani e genovesi.

Mentre, quindi, il rione Castello era soprattutto il centro politico, religioso, militare e burocratico della città, Marina era la zona nevralgica dei traffici marittimi dove i cagliaritani convivevano con una molto estesa realtà mul- tietnica, quasi del tutto inesistente negli altri quartieri. Questo ha forgiato un tipo di cagliaritano differente: più diplomatico, più aperto alle novità, più attento agli influssi culturali esterni, più pronto a recepire le parlate straniere, forse anche più ironico ed ilare.

Ma anche l’aspetto urbano del quartiere ha risentito della vicinanza del porto. In analogia a molte altre città marittime e commerciali del Mediterraneo, anche Marina ha sempre avuto vicoli stretti, dal tracciato regolare, degradanti verso il mare in senso perpendicolare ad esso e attraversate da altre parallele al porto. Le principali erano il Carrer de Barcelona, l’odierna via Barcellona, il Carrer de Sant’Olaria, oggi via Sant’Eulalia, il Carrer de Sanct Augustin, oggi via Baylle, il Carrer Moras, l’attuale via Napoli, e il Carrer de Gesus (oggi via Cavour) che portava alla chiesa ed al convento francescani di Gesù e Maria, dove visse e morì il fraticello taumaturgo Salvatore da Horta, uno dei Santi tuttora più venerati dai cagliaritani.

Marina è anche il quartiere che annovera il maggior numero di chiese, tutte importanti. Sant’Eulalia (Sant’Olaria anche per i cagliaritani, così come per i barcellonesi dei quali è la Patrona) da poco è stata riaperta al culto, dopo i restauri che l’hanno riportata agli antichi splendori. Nel corso dei lavori sono stati scoperti gli interessanti resti di una strada romana. Il tempio risale alla seconda metà del XIV secolo e richiama lo stile dell’architettura gotico-catalana; è sempre stato il centro della vita spirituale dell’intero rione di cui è anche la Parrocchia. Da qui, il giorno di Pasqua, esce in processione il simulacro della Madonna per andare incontro, nella vicina via Roma, al Cristo risorto, partito, a sua volta, dalla chiesa del Santo Sepolcro.

Anche quest’ultima chiesa è stata recentemente restaurata dopo decenni di assoluto abbandono. Apparteneva in origine all’Arciconfraternita del Crocifisso (costituita nel 1564) che aveva il compito di dare sepoltura ai poveri ed ai condannati a morte. Le strutture sono gotiche. Di particolare rilievo il grande Capellone della Pietà fatto costruire nel 1686 dal Viceré Lopez de Ayala, nella viva roccia, in adempimento di un voto di ringraziamento per la guarigione di una figlia: al suo interno si trova un bellissimo altare ligneo, tra i più significativi esempi di arte barocca in Sardegna.

Fino all’Editto di Saint-Cloud del 1804, che proibì le sepolture entro l’area urbana, prospiciente il Santo Sepolcro, esisteva il cimitero del quartiere Marina le cui funzioni furono, poi, trasferite al Camposanto civico di Bonaria, operante dal 1829.

Un’altra antica chiesa del rione è quella di Sant’Antonio abate situata nella via Manno. Inizialmente (sec. XIV) era inglobata nello Spedale che comprendeva anche l’attiguo portico. L’edificio religioso venne completamente ricostruito nel secolo XVIII e consacrato nel 1723. Ogni anno, nel giorno dedicato al Santo, veniva impartita la benedizione agli animali di cui Sant’Antonio è il protettore. Fino agli anni Cinquanta del Novecento la manifestazione richiamava molti cagliaritani: preceduti dalla banda cittadina, gli animali, fra essi molti cavalli, buoi ed asineli!, percorrevano il breve tratto tra la piazza Venne, dov’era il raduno, e la chiesa, davanti alla quale si svolgeva la semplice ma curiosa cerimonia religiosa. Da diversi anni la manifestazione è stata ripresa e si svolge nella quasi attigua piazzetta del Santo Sepolcro: i protagonisti oggi sono gatti, cani, uccelli in gabbia, ma anche qualche iguana, criceti, topolini, conigli, tartarughine etc.

Attraversando la via Manno e salendo una scalinata in granito, si arriva alla chiesa delle Clarisse Cappuccine, suore di clausura. L’intero complesso monastico fu costruito negli anni Venti del Settecento. E’ uno dei luoghi sacri più carichi di spiritualità. Una campanella suona in diverse ore del giorno e della notte in alcuni momenti della vita claustrale e i suoi rintocchi sono un invito alla preghiera ed alla meditazione anche per chi va di fretta. In questa chiesa sosta il simulacro di Sant’Efisio, quello del Louis, non solo il Lunedì dell’Angelo (Pasquetta) quando, di buon mattino, viene portato in processione in Cattedrale (in ringraziamento per l’intercessione a favore della città durante il tentativo di occupazione dei Francesi del 1793), ma anche la sera del Giovedì Santo, paludato col mantello nero, in visita ai sette Sepolcri.

Nella vicina via Torino vi è un’altra chiesa molto cara ai cagliaritani ed a tutti i sardi, meta di continui pellegrinaggi. E’ la chiesa intitolata a Santa Rosalia, ma più nota come Santuario di San Salvatore da Horta. Nell’altare maggiore è conservato, infatti, il corpo del frate catalano, morto nel 1567 in odore di santità e proclamato Santo nel 1938. La chiesa è retta dai Padri Minori Osservanti ed è stata per parecchi anni la prima e l’ultima Stazione della Via Crucis che durante la Settimana Santa percorreva, con grande concorso di fedeli, le strade dei quattro quartieri storici di Cagliari. L’antico convento, un tempo collegato alla chiesa dal portico che scavalca la via Principe Amedeo, è oggi sede del Comando Militare della Sardegna.

La chiesa di Sant’Agostino, nella via Baylle, è l’unico esempio di architettura rinascimentale a Cagliari. E’ nota anche come Sant’Agostino nuovo per distinguerla da quella che un tempo esisteva fuori dalle mura. E’ stata riaperta al culto da circa dieci anni a seguito di importanti restauri, alcuni dei quali tuttora in corso. Il tempio, a croce greca, presenta un altare maggiore ligneo di pregevole fattura. L’annesso convento fu in gran parte demolito nella seconda metà dell’ottocento per far posto al mercato civico, ancora vivo nella memoria di molti cagliaritani. Anch’esso è stato, a sua volta, smantellato, negli anni Cinquanta del Novecento; nella vasta area sono sorti due edifici bancari. Quasi a fianco della chiesa di Sant’Agostino sorge [’Asilo della Marina che occupa una parte dell’ex convento degli Agostiniani. L’ annessa Cappella (sec. XVIII) era sede della Confraternita della Vergine d’Itria, trasferitasi nel 1881 nella chiesa di Sant’Antonio abate. L’Asilo della Marina ha sempre avuto un rilevante ruolo sociale per la città. Si ricorda ancora la figura di Suor Giuseppina Nicoli e, in particolare, il suo intervento a favore dei piccioccus de crobi: nell’estate del 1914 cominciò a convincere quei ragazzini sporchi e maleducati a seguirla nel suo Istituto dove offrì un pasto caldo quotidiano, un sorriso e tanto amore. Creò l’associazione dei Marianelli (monelli di Maria) che contribuì non poco a far scomparire quella bruttura cittadina. Intorno agli anni Venti i giovanissimi portatori di corbu- le erano ormai scomparsi.

Nella via Roma, la principale arteria del Quartiere per ampiezza ed importanza, vi è, infine, la chiesa dedicata a San Francesco da Paola. Il suo impianto iniziale risale al secolo XVII. Ha subito vari cambiamenti anche nella facciata esterna che guarda proprio sul porto. Da questo tempio, ogni anno, in aprile, parte una delle due belle processioni a mare cagliaritane (l’altra è quella di Bonaria). Il simulacro del Santo calabrese “Patrono delle genti di mare” viene portato su un’imbarcazione nelle acque antistanti la città, con grande partecipazione popolare.

Alla chiesa di San Francesco è legato il ricordo delle numerose vittime dei bombardamenti abbattutisi su Cagliari il 28 febbraio del 1943. Molte di esse uscivano dalla Messa di mezzogiorno, in una giornata di sole quasi primaverile, quando dal cielo si scatenò il finimondo. Dagli aerei alleati piovvero sulla città inerme un’infinità di bombe che portarono distruzione e morte. Una lapide-ricordo di quella terribile tragedia è stata affissa, in occasione del sessantesimo anniversario, nel porticato del palazzo del Consiglio regionale della Sardegna, a poca distanza dalla chiesa. Cagliari, però, dovrebbe dedicare a quei poveri morti un ben più degno monumento, specie oggi che si è soliti intestare le strade cittadine ad illustri, o litiasi, sconosciuti.

Il ricordo di Cagliari bombardata è tuttora una ferita aperta per i cagliaritani che vissero di persona quei tragici avvenimenti. Il quartiere Marina fu tra i più colpiti, proprio perché situato davanti al porto che aveva una valenza strategica. Le raccapriccianti foto di quei giorni ritraggono i piroscafi in fiamme, i binari del tram divelti, la palazzata di via Roma con paurosi ed ampi squarci, cornicioni in bilico, gli alberi della passeggiata abbattuti.

Di quella lontana tragedia vi è ancora qualche segno visibile: i resti della chiesa di Santa Lucia nella via Sardegna, le aree di alcuni edifici crollati e mai o solo in parte ricostruiti, alcune colonne sberciate dei portici della via Roma. Altre terribili testimonianze sono state fortunatamente cancellate dalla formidabile e rapida opera di ricostruzione della città posta in essere dai cagliaritani negli anni del dopoguerra: così le orribili macerie della chiesa dei SS. Giorgio e Caterina nella via Manno, quelle spaventose tra la via Torino ed il viale Regina Margherita, quelle di vico Baylle, di via Principe Amedeo, di via Sardegna, di via Napoli e della via Roma.

La stessa vasta area su cui è sorto, verso la fine degli anni Ottanta, il palazzo del Consiglio regionale della Sardegna, nella via Roma, appunto, era in buona parte occupata da casette sventrate dalle bombe. I progettisti di questo imponente edificio, dalle linee decisamente moderne che si staccano in modo molto netto da quelle prevalenti nell’intero quartiere, hanno cercato di intaccare il meno possibile l’assetto territoriale. L’Aula consiliare è stata, infatti, ottenuta in un ambiente sopraelevato poggiante su dei grandi pilastri in cemento. Ciò ha consentito di realizzare, sotto di essa, un’ampia piazza accessibile a tutti, nella quale sono state sistemate diverse statue dello scultore di Orarti Costantino Ni vola.

Con la scomparsa delle ferite di guerra, Marina ha riacquistato la sua antica fisionomia caratterizzata soprattutto dalle case a schiera, abbellite, in genere, da balconi fioriti in ferro battuto con decorazioni e disegni molto vari ed artistici. Le stradine hanno mantenuto il loro aspetto di un tempo anche con riferimento alla vitalità quotidiana, per la presenza di banche, esercizi commerciali, botteghe artigianali, ristoranti, trattorie, pioleddas, alberghi, pensioni, locande, scuole, magazzini, studi professionali, cinema e qualche teatro. A differenza di quanto è avvenuto in Castello che ha vissuto, invece, un lungo periodo di progressivo spopolamento ed abbandono.

Il quartiere, del resto, è compreso all’interno di un quadrilatero formato da alcune tra le più rilevanti arterie commerciali della città: la via Roma, il Largo Carlo Felice, la via Manno, il viale Regina Margherita. La Rinascente, posta alla confluenza tra il Largo e la via Roma, è l’emporio cittadino più grande e frequentato; l’hotel Jolly, nel viale Regina Margherita, è tra i più moderni; la via Manno, sa Costa di un tempo, è la via dello shopping per eccellenza, assieme al Largo ed alla via Roma.

Certo se si torna indietro con la memoria ad una cinquantina di anni fa, i mutamenti del rione emergono con evidenza e riguardano soprattutto gli abitanti, moltissimi dei quali sono stranieri: senegalesi, marocchini, cinesi, arabi, filippini, indiani. Un quartiere nuovamente multietnico, insomma, che di conseguenza è mutato parecchio nelle usanze, nei costumi, negli odori, nei profumi, nei rumori.

Una volta erano i sottani, is bascius, il vero fulcro della vita di tutti i giorni: le attività casalinghe si svolgevano in prevalenza, in specie col tempo buono, nel tratto antistante il sottano, ossia nel marciapiede. Molto spesso si cucinava addirittura in strada, proprio in prossimità dei is bascius: le pentole sbuffanti sul fuoco e le graticole di pesce o di carne spandevano nell’aria odori gradevolissimi di manicaretti ed arrosti strepitosi; si stendevano i panni appena lavati ad asciugare, su fili retti da due apposite canne oblique; si ascoltava la radio a tutto volume; si giocava a carte; nelle notti d’estate si prendeva il fresco facendo due chiacchiere con gli amici, stando seduti sulle seggioline impagliate; oppure, a prescindere dalla stagione, si bisticciava con i vicini ad alta voce rinfacciandosi amenità di ogni genere. In questo erano insuperabili is crastulas, simpatiche massaie cagliaritane, ma dalla lingua molto tagliente e micidiale, aggiornatissime, sin nei minimi particolari, sulla vita ed i miracoli dell’intero vicinato.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, in particolare, Marina era un continuo susseguirsi di grida, di parole pronunciate ad alta voce, di schiamazzi, di formidabili battute in vernacolo cagliaritano genuine e cariche di spietata ironia. Era di moda dare l’abbaia a diversi personaggi della vita quotidiana, a volte senza alcun pudore, provocando l’immediata reazione del disgraziato di turno che profferiva le più dissacranti parolacce con puntuale menzione di madri, sorelle ed antenati. I più bersagliati erano Orighedda, Fili’ ’e predi, Pretta, Pettinati, Peirani, Ciondolino che bazzicavano spesso nel quartiere, per lo più vicino alle chiese o al mercato, per chiedere l’elemosina.

Caratteristiche erano, poi, le mescite di vino. Questi locali vocianti, illuminati da luci molto fioche, erano frequentati da clienti abituati ad alzare il gomito. Uno era situato all’angolo tra la via Napoli e la via Sicilia. Ed in quel tratto si allungava il passo per non incappare in qualche ubriaco in vena di proferire parole sconce o di tenere atteggiamenti poco gentili. E magari, appena girato l’angolo, la scena cambiava di botto perché ci si imbatteva in qualche giovane che faceva la serenata all’innamorata.

Ma in Marina c’era soprattutto il grande mercato civico, sempre affollatissimo e molto rumoroso, rinomato non solo per il pesce fresco, ma anche perché in grado di soddisfare tutte le esigenze gastronomiche dei buongustai cittadini. Era, di fatto, un formidabile centro di aggregazione sociale: molti vi passavano l’intera mattina per incontrare amici e conoscenti.

Di quella Marina è rimasto ben poco. Oggi le stradine sono frequentate, ma silenziose, ognuno parla a voce bassa. Gli odori prevalenti sono quelli di certi incensi indiani che penetrano dovunque, avvertibili anche a molta distanza. Is bascius sono quasi tutti scomparsi e con loro tutta quella umanità che vi viveva allegramente, anche se in condizioni igieniche non certo ottimali. Di recente le viuzze sono state pavimentate a nuovo e dotate di impianti e servizi moderni. E’ scomparso, trasformato in sede di uffici pubblici, l’albergo Scala di ferro, costruito sui resti del bastione di Monserrat, nel viale Regina Margherita; una vera istituzione per il quartiere, dove avevano soggiornato famosi ospiti del mondo del teatro, della politica e dello sport.

Il quartiere ha una nuova veste, pur restando identico sotto il profilo strutturale. Molti e rilevanti sono i cambiamenti previsti per un futuro abbastanza prossimo e riguardano, in particolare il porto e la via Roma. Per il primo sono già in corso i lavori per un rilancio effettivo dei traffici commerciali e di quelli delie navi da crociera, mediante l’ampliamento di alcuni pennelli per gli attracchi. In quest’ottica è stato da poco demolito il vecchio molo antiflutti, anche al fine di consentire manovre più agevoli alle navi da crociera alle quali sarà riservato il molo Sanità.

I traghetti di linea, invece, attraccheranno non più lungo le banchine di via Roma, ma nella zona Sant’Agostino, lasciando libere le banchine stesse per i natanti da diporto. A questa “rivoluzione” portuale sono legati i progetti per il conseguente impatto con la città e quindi, anzitutto, con Marina. La via Roma diventerà una grande isola pedonale, quasi un tutt’uno con la nuova darsena, nonché la parte iniziale della lunga passeggiata a mare che arriverà sino a Sant’Elia. L’intenso traffico automobilistico verrà convogliato in un apposito tunnel che collegherà il viale La Playa con il viale Colombo. E sempre sottoterra correranno anche i tram della metropolitana leggera che collegherà Cagliari col suo hinterland.

Marina non è, quindi, un quartiere statico. Non lo è mai stato e non lo sarà per l’avvenire. E’ sempre stato aperto alle novità ed ai cambiamenti che vengono dal vicino mare, che i suoi abitanti hanno sempre avuto in casa tanto da meritare da parte dei cagliaritani degli altri quartieri il simpatico epiteto di culus sfustus, sederi bagnati.

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