Filippo Lantini: “ ho fatto ballare tutta Cagliari per trent’anni.”_di Fabio Salis

“Per noi ragazzi il Lido era come una casa, arrivavamo la mattina e ce ne andavamo la notte. Lì mangiavamo anche ed eravamo una grande famiglia, ci conoscevamo tutti.”

Filippo Lantini, famoso dj del Capoluogo negli anni ’70, ’80 e ’90, ricorda così le sue estati trascorse durante la gioventù al Lido di Cagliari, un locale che ha fatto la storia della città. Memoria storica dell’essere dj, con la sua musica alla console sono cresciute diverse generazioni di cagliaritani nei locali cittadini. Alla fine degli anni ’70 non esistevano altri dj “sulla piazza” (e nemmeno era ancora stato coniato quel termine), così Lantini ha dovuto imparare tutto da solo senza nessun maestro. È stato protagonista anche di una pagina importante della storia delle radio in Sardegna, perché nel periodo in cui lavorava con i 45 giri venne chiamato a lavorare a Radiolina per mettere i dischi e fu lui ad ideare la storica sigla della radio.

Dismessi i panni da dj, Filippo Lantini è tornato a dedicarsi all’altra sua grande passione, quella per l’arte, in particolare per la pittura, il disegno e le arti plastiche in generale. Ha anche aperto un laboratorio di falegnameria a cui insegna ai ragazzi a lavorare con i materiali.

Nella chiacchierata con lui abbiamo ripercorso la sua carriera di disc jockey, iniziata proprio lì nel popolare locale della spiaggia dei centomila, attraverso il racconto dei generi musicali più in voga nell’epoca che di lì a breve avrebbe visto l’esplosione della cosiddetta “febbre del sabato sera”, la differenza tra vinile e digitale e, per concludere, una testimonianza su come il mondo dei locali e del divertimento notturno, si può dire altrettanto della nostra società, siano profondamente cambiati nel corso degli anni. Sono radicalmente cambiati i generi e le preferenze musicali, ma anche il modo di divertirsi da parte dei più giovani che purtroppo non sempre si può far rientrare in un discorso di legalità.

Raccontaci di come è nata la tua passione per la musica.

“Quando ero piccolo i miei genitori ascoltavano i dischi, come per esempio Anonimo Veneziano e Jesus Christ Superstar. Anch’io ho sempre ascoltato musica. Poi quando avevo circa tredici anni vicino a casa mia c’era un distributore che dava i dischi ai jukebox, quindi io andai in motorino e chiesi se potevo andare a consegnarli. Anziché farmi pagare con i soldi, decisi di farmi pagare con i dischi e quindi li accumulai. Così quando organizzavamo le feste in casa con gli amici, li portavo e li mettevo.”

A quel punto di fatto cominciasti a fare il dj “tra le quattro mura” per poi intraprendere davvero questo lavoro al Lido inizialmente assieme all’organizzatore Gianni Aramu.

“Il termine dj non esisteva ancora, perché tutto era ancora agli inizi. Esisteva soltanto in ambito radiofonico. Con gli amici avevamo fatto una sorta di mini club in un garage, il fine settimana si ballava lì. Poi una volta mi capitò di sostituire un vero deejay. Poi iniziai a lavorare al Lido, quando era ancora una balera ed era gestito dal signor Spiga che era proprietario anche di due famose sale cinema in città. Lui mi chiese di mettere musica nel fine settimana, poi da lì nacque tutto. Dopo l’Acquarium, il Lido cambiò gestione e venne preso in gestione da Roberto Devoto che lo cambiò strutturalmente specie nelle gradinate, mise la moquette, qualche luce, la pista e un impianto in grazia di Dio. Organizzò sotto la sua gestione spettacoli internazionali sulla rotonda e rilanciò il locale molto bene.”

In quegli anni lì, stiamo parlando della fine degli anni ’70 e i primi ’80, era alle porte una rivoluzione in termini di generi musicali.

“In quel periodo inizialmente era in voga la black music, fino a quando ad un certo punto si scatenò “la febbre del sabato sera” sulla scia del famoso successo cinematografico con John Travolta. Da quel momento in poi nacque la disco music che non era più black o funky, che aveva invece una battuta più marcata. Durante le serate mettevo i dischi di Patrick Fernandez che a quei tempi si ballavano con i lenti. Come sigla usavo “The wall” l’album dei Pink Floyd, però la musica che inserivo era mista, mischiavo anche un po’ di rock e sono stato il primo a mettere il reggae, soprattutto Jammin’ di Bob Marley, che all’epoca si filavano in pochi. Poi invece ha avuto un grandissimo successo, perché era un suono che non era usuale per quei tempi.

Ascolto qualsiasi tipo di musica, però il mio genere preferito è proprio quello che si rifà alla black music, il funky melodico, ma anche la house americana quella cantata e bella. Il genere funky per me è il numero uno e James Brown il mio artista preferito.”

All’epoca il digitale non esisteva e l’unico modo per mettere musica durante le serate era il vinile.

“Io il digitale non l’ho mai voluto sperimentare, perché il vinile a mio giudizio è nettamente superiore. Il suono digitale taglia determinate frequenze che sono i bassi profondi e per fare una serata è necessario avere un impianto nettamente superiore. Invece col vinile il suono risulta molto più amplificato. Per fare un paragone, col vinile è come se andassi ad ascoltare un concerto dal vivo, mentre col digitale è come se lo stessi ascoltando alla radio.”

Durante le canzoni si ballava e il modello che veniva preso come punto di riferimento dai giovani non poteva non essere che John Travolta.

“Esatto, si facevano i balli di gruppo imitando le movenze del popolare attore. Addirittura c’erano ragazzi che venivano in discoteca con l’abito bianco e andavano in pista facendo i “John Travolta” di turno. Al Lido l’ambiente in quel periodo era sempre ottimo: tutta la gente che vedevi al mare di giorno la vedevi la notte in discoteca e quindi ci si ritrovava per divertirsi in maniera molto serena. Ti bevevi il tuo drink assieme ai tuoi amici ed era molto raro che capitasse di vedere nel locale comportamenti al di fuori delle regole.”

La società era molto diversa da quella che conosciamo oggi e anche a Cagliari, da quanto si racconta, si respirava un’aria diversa. Oggi si sa che purtroppo molti giovani esagerano con l’alcol e a volte fanno anche uso di droghe, andando così alla ricerca dello “sballo”, sia fuori che dentro le discoteche.

“Verso la metà degli anni Ottanta il business intorno alle discoteche crebbe parecchio e spesso cominciava ad entrare nei locali più gente di quello che era in realtà consentito, tra queste a volte entravano anche persone non molto raccomandabili. Secondo me il problema che si è venuto a creare negli anni nelle discoteche è quello dei costi esorbitanti che hai per gestirla, il fatto di dover avere più barman, buttafuori e camerieri per gestire i grandi flussi di persone. Più le tasse chiaramente. In seguito, alla fine degli anni Novanta, cominciavano a girare insistentemente le droghe e spesso si vedevano ragazzini impasticcati. Io smisi di lavorare stabilmente nel settore nel 1998, perché era nato mio figlio e volevo dedicare più tempo alla mia vita familiare, ma ti confesso che vedevo intorno a me un mondo che ormai era cambiato e già da prima pensai di smettere. Nonostante tutto nel corso degli anni ho fatto qualche serata revival con la musica dei miei tempi. Prima secondo me ci si cercava di divertire con quei pochi soldi che si avevano in tasca e si centellinavano. Da alcuni decenni, i genitori danno troppi soldi in tasca ai propri figli che a volte spendono nel modo sbagliato.”