“Chiacchiericci” casteddaius_di Anna Palmieri Lallai

La Cagliari del passato è impregnata di tante dicerie, pettegolezzi o, se vogliamo, semplici maldicenze che, correndo tra i vicoli e is arrugas strintas, specie dei quartieri storici, e, saltellando di bocca in bocca, hanno finito per assumere quasi il carattere di autenticità. Sono tante, ancora raccontate con una certa convinzione dai nostri anziani, e noi siamo pronti ad accoglierle più che con diffidenza con tanta curiosità. Prima si raccontavano per strada, si sussurravano tra i tavolini delle bettole, tra amici più o meno creduloni, e la fantasia personale poi aggiungeva sempre qualcosa di “proprio” tanto che il famoso “topolino” finiva per diventare un…elefante. Queste dicerie nostrane trovano radice in un periodo ben diverso dal nostro, in una realtà differente, dove era facile trovare terreno fertile e, tra comari e il “ben informato”, non c’era bisogno dei social o di qualsiasi altro mezzo meccanico o sofisticato per arrivare rapidamente fino ai sottani, is bascius di proverbiale memoria; era la voce umana il mezzo di trasmissione più veloce, sicuro, garantito e …gratuito.

Ancora oggi, mentre scendono le prime ombre della sera sulle vie della Marina, e mi soffermo nello spazio antistante la chiesa del Santo Sepolcro, ecco subito rivivere la vecchia nomea che voleva che in questo spazio, destinato a cimitero per i poveri del quartiere, venissero sepolti anche i tanti indigenti del vicino Spedale di Sant’Antonio o Fatebenefratelli. E ancora si sussurra che gli ammalati ritenuti ormai incurabili venissero prematuramente mandati a raggiungere la “grazia divina” somministrando loro, nottetempo, una bevanda più o meno calda, che li confortava avviandoli rapidamente verso “quel” viaggio senza ritorno. Questa triste “diceria”, vera o presunta, nasce, però, da un’altrettanta triste realtà urbana. In passato, si sa, non esisteva né l’assistenza sanitaria pubblica né il cimitero pubblico, in quanto sanità e sepoltura non erano riconosciute come diritti umani e civili, uguali per tutti. Era solo la pietas o il volontariato delle Confraternite che insieme ai benefattori, davano sollievo alle persone dimenticate da Dio e dall’uomo e provvedevano alla loro sepoltura religiosa. Finalmente raggiungevano la pace e riposavano in questo sagrato antistante la chiesa, dove, secondo tradizione consolidata, in epoca assai remota era stata sparsa della terra proveniente dal Santo Sepolcro di Gesù, a Gerusalemme, da qui la sua denominazione. La miseria non era un mistero, si viveva, era palpabile in ogni angolo della città e spesso trovava come alleata la salute sempre più cagionevole di queste persone infelici. Ma, a Cagliari, in loro soccorso esisteva, fin dai tempi remoti, nei pressi della chiesa, propriamente lungo le scalette del Santo Sepolcro, salendo sulla sinistra (oggi ostello della Gioventù), un grande convento che i frati di S. Giovanni di Dio avevano adattato a struttura ospedaliera per dare alloggio, conforto e aiuto a tanti infelici: uomini, donne, bambini, in particolare i c. d. mischineddus, che venivano abbandonati senza scrupoli nella ruota degli esposti, presente presso i monasteri femminili. Anche le più che precarie condizioni igieniche contribuivano a dare un duro colpo alla situazione molto difficile, per cui la struttura, che non godeva di contributi pubblici o non erano sufficienti, si reggeva quasi esclusivamente sulla generosità dei benefattori, che, comunque, non erano mai abbastanza per colmare una situazione così grave portata avanti da poco personale sanitario sempre volontario. E allora? E qui subentra il rito de Su Brodu ‘e Mesonotti, una sorta di arcaica eutanasia che poneva fine ai mali del malcapitato e metteva in pareggio, o quasi, le casse dello Spedale. Una eutanasia su cui oggi si discute tanto muovendo la coscienza di ognuno di noi. Tutto vero? Tutto falso? È difficile dirlo con esattezza, è invece certo che la voce continua a circolare per quanto la struttura non esista più e dal 1848 abbiamo il nostro Ospedale civile disegnato da Gaetano Cima, specchio di un altro “vivere urbano”. A noi solo il compito di crederci o meno.

Ma noi casteddaius abbiamo dimostrato più volte di avere una fervida fantasia che spesso, unendosi al semiserio, dà luogo a dicerie da sempre difficili da sradicare. E se mi sposto in Villanova storica e parlo con qualche anziano originario del quartiere, ecco una nuova “chiacchiera” sulla piazzetta che si apre alla fine della via S.Domenico, antistante la via XXIV Maggio, comunemente nota come “Piazzetta S.Domenico” ma dedicata all’ex sindaco e Rettore dell’Università Gaetano Orrù. Questo slargo, inoltre, viene ancora caparbiamente denominato Su pardixeddu de Santu Menigu, per una diceria tarda a tramontare che vuole che lo spazio fosse in altri tempi un cimitero rionale, dove, ancora oggi, gli spiritelli si riuniscono per tenersi aggiornati sulle nostre novità. Se fosse così forse gioirebbero nell’ ammirare uno slargo piccolo, intimo, rallegrato da un ombroso verde piacevole contro il sole estivo, comode panchine che regalano una pausa sempre gradita, una bella fontanella che sa rinfrescarmi quando serve e niente mi sembra migliore dell’acqua, mentre s’innalza superba una colonna giurisdizionale che evoca epoche tramontate. Uno spazio ricco di fascino antico, rallegrato non da fantasmi, ma da tanti giovani che guardano fiduciosi alla vita e dove mi piace sostare e godere pienamente di quella serenità che questo angolino urbano mi sa ancora regalare. Di fantasmi, spiritelli, anime vaganti in cerca di pace, niente di tutto questo…almeno credo.

Ci sarebbe ancora tanto da dire, ma mi fermo. Resto del parere che anche questi “chiacchiericci”, scaturiti o meno dalla fantasia popolare, siano da conservare, una chiave di lettura tutta particolare della Cagliari che fu.

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