“Sardegnatavola” piccola Bibbia della gola

Giorgio Ariu si è riappropriato di un pubblicismo che 25 anni fa era tutto suo. Quello del “mangiarebere” di casa nostra: spesso in anticipo sulla stampa continentale che ibridava la gastronomia, come genere di comunicazione, col pensiero debole e l’effimero colto usando i linguaggi delle nouvelle cousine dell’immediato Oltr’Alpe. ” Sardegnatavola”, la rivista da lui fondata, usava uno stile piano e piacevole in consonanza con la genuinità delle materie prime e le gestualità di una cucina povera nel quotidiano e sontuosa nella festa che evocava una soddisfatta Sardegna della memoria. Quello stile e quel raccontar-mangiando, bicchiere alla mano, ritornano in un format smagliante nell’ultimo numero di dicembre di ” Sardegnavola”. Giorgio Ariu, performer, con incursioni crescenti nel mondo dello sport, della letteratura, dell’intrattenimento televisivo, giornalista dai giorni del battesimo, punta sulle scoperte… cioè rivisita in chiave di attualità “su cunnottu” nella migliore versione della qualità della vita. C’è il Natale tutto sardo con Pane de Nadale tonaresu, su trigu cottu, su procedu schidionau. Si mangia e si dorme in itinerari fantastici tra arte e cucina. Si scopre Pula ma nelle magie più intime e negli splendori abbaglianti della più antica città. A Buddusò, capitale del granito lavorato ed esportato, si mangiano i dolci delle forti tradizioni agropastorali: seadas, casanidas e passando dal dessert all’entree, a percorso inverso, ci si sofferma sulla farcia delle panadas. E la sagra del porcino ad Arzana, l’incanto dei boschi di Tonara e quel groviglio felice tra immaginario della vigilia e pulsione compiaciuta della festa che solo sa assicurarti la cucina oristanese, isola felice dei buongustai e delle pietanze per i notabili “isgiriaddi”, schizzinosi e competentissimi per arrivare a Marceddì dove dei fasti del tempo andato sono rimasti la memoria e l’orgoglio dello stagno, la dovizia e il sapore dei suoi pesci. Un universo più riservato di quello della mattanza carlofortina che i misteri di quella epifania di morte, sangue e carne fantastica, si è offerta alla globalizzazione, per le sue immagini corrusche, che suscitano i palati dei vecchi samurai nipponici che sublimano in sushi il frutto dì una pesca nostrana molto rituale e molto attesa. Nella rubrica Uomini&Fornelli fa la sua parte Benito Urgu nei panni della signora Desolina.

L’ultima scoperta di un locale eccellente della ristorazione la fa Pierluigi Dessy con il Giardino degli Ulivi, il ristorante top di Marco Milia a Sassari. Marco, fuoriuscito di lusso di una casato di politici, di giuristi e di sportivi, famosi per diligenza, competenza unita a cordialità, conduce nel ridotto della gola, come luogo topico della trasgressione godereccia, l’impegno dei “suoi di casa”nel foro, nei banchi della politica e sugli spalti dell’agonismo gridato. Viene, Marco Milia, da esperienze di cosmopolitismo e di raffinatezze: ora torna a una cucina tra l’identità e l’invenzione mostrando di onorare una ingrediente spesso assente nel mondo della ristorazione sarda, con camerierine arcigne e cuochi bravi e malmostosi: la cultura dell’accoglienza. C’è, nell’ultimo numero di “sardegnatavola, l’angolo assortito del marketing di pregio, le affabulazioni sapienti sulla cucina tradizionale (Efisio Mameli), il resoconto di un voyage nei templi del formaggio e dei vini, l’omaggio reso ad Angelo Saracino, il barman del Consiglio Regionale, maestro di color che sanno nell’istituzione dominata da color che ignorano (in fatto di vini e di cucina) e una gallery di personaggi assortiti, un’antropologia di gente a tavola un po’ per rito e un perché “così fan tutti” di fronte ad una bella tavola apparecchiata. E, infine, “gigioneggia” da par suo (se lo può consentire) il nostro amico Millennio Dalmasso, esperto dì borsa e di quadri, suggeritore politico di eccellenze in quiescenza, che affida, in omaggio alla tecnicalità e alla grazia ( “a donzunu s’arte sua”) la scelta di un menù alle mani sapienti della consorte. L’unica che sarebbe in grado di imporre una botta di “saggezza da cibo”, con divieto implicito di esternazione, all’illustre e trasgressivo ospite abituale, Francesco Cossiga.

Pino Careddu

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